Quando la rabbia può salvare la vita

È uscita oggi la drammatica notizia che un ragazzo di 30 anni si è suicidato e ha lasciato una lettera di commiato che denuncia una situazione, personale e professionale, insopportabile.

Sento il dovere morale di pubblicare questi pensieri, perché ci sono passata e capisco cosa significa doversi ricostruire da zero a 32 anni. Riconosco quei pensieri che ti saltano in mente quando la rabbia nei confronti del mondo ti macina dentro. Sono pensieri tutt’altro che lucidi.

E… mi sale altrettanta rabbia e tristezza a leggere quelle parole.

Perché la nostra generazione, quella dei trentenni a cui è stato “rubato il futuro”, a detta di Michele, non ha inquadrato il focus reale della faccenda.
Quello che mi colpisce in questa lettera sono frasi come “non si può pretendere niente” e “se vivere non può essere un piacere” “non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo” ripetute con una frustrazione tangibile. Come se un futuro fatto di posto fisso+matrimonio fosse dovuto a priori, perché così deve essere, e se non c’è quello allora tutto il resto non conta. Come se la felicità dipendesse dagli altri o da quello che ottieni nella vita.

La questione è che questa realtà ci sta insegnando un concetto fondamentale: ovvero che la vita è fatica, che per raggiungere i risultati si fa fatica, per ottenere quello che si vuole prima di tutto si deve fare fatica. E avere pazienza. E che una volta raggiunto un traguardo non è così automatico che sia quello a renderti felice, così come non è così automatico che quel traguardo resti lì per sempre.

Perché non ce lo hanno insegnato prima? Perché la vecchia generazione ha vissuto anni in cui ogni cosa era facilmente raggiungibile e ha diffuso l’idea illusoria che la felicità sia avere una serie di cose che oggi non sono la norma. La realtà che hanno conosciuto non è la stessa che esiste ora, e di questo non ne hanno nessuna colpa. Sono stanca di sentir dare la colpa alla passata generazione, questa è la realtà che abbiamo ora, siamo abbastanza adulti da affrontarla a testa alta e sistemarla al meglio.
La lettera di Michele mi fa rabbia perché un giovane sveglio che vive in questo mondo iperconnesso non può fermarsi a credere che il futuro gli debba essere consegnato in mano da altri. Al tempo stesso sono consapevole che in quei momenti non hai la lucidità necessaria per trovare la forza di uscirne indenne.
Mi spaventa chi dice che la sua lettera sia lucida. Non lo è, era immerso nel vortice della rabbia e dell’autodistruzione che lo ha portato al suicidio. Tutto il contrario della lucidità.

Il mondo si muove veloce, la maggior parte delle conoscenze utili per il lavoro cambiano di continuo, ma l’unica cosa su cui possiamo gettare delle basi forti è la nostra personalità, la nostra autostima, le nostre risorse personali, la nostra capacità di interagire con gli altri, la motivazione che ci spinge ad agire ed affrontare gli ostacoli e trovare soluzioni.

La scuola deve migliorarsi in questo, permettendo di sviluppare le cosiddette “soft skills”. Le persone sarebbero più pronte ad affrontare qualunque fallimento, rialzandosi ogni volta anziché restandone schiacciati, e saprebbero che il rispetto per l’altro e l’assertività sono valori fondamentali nel mondo del lavoro.

Con queste premesse, viene naturale credere che nella nostra epoca di instabilità e precarietà, l’unica vera felicità derivi dall’azione, non dal raggiungimento di un obiettivo, tantomeno dalla non-azione. Per restare a galla bisogna muovere le braccia e le gambe, se si sta fermi si va a fondo.

Mi dispiace infinitamente per Michele, vittima prima di tutto di un sistema che non facilita lo sviluppo di capacità di adattamento alle situazioni, anche quando sono avverse, mi dispiace che ci siano tante persone nella stessa situazione, mi dispiace che il mondo non sia tutto rose e fiori. Mi dispiace anche di avervi versato addosso altra rabbia e una dose di tristezza con queste parole.

Non sto scrivendo per dirvi quanto questo mondo sia “bello” o se invece sia solo faticoso, fatto sta che prima di lasciarlo è il caso di scoprire dove si riesce a portarlo, passo passo, giorno dopo giorno, assaporando i momenti buoni in compagnia delle persone che amiamo. Ogni giorno puoi decidere il tuo destino, il passato non conta, conta solo il presente, ogni azione che compi può portarti un passo avanti o uno indietro, non sei mai arrivato, darsi da fare è una chiave per affrontare il futuro puntando al meglio. Un libero arbitrio positivo, propositivo, a caccia di soluzioni, curioso di scoprire cosa succederà poi, come una storia a bivi dove sei tu a scegliere ogni passo, padrone solo delle tue scelte e delle conseguenze che possono portare, dando sempre priorità alla vita.

Questo è quello che si fa quando si riesce a convogliare la rabbia nella giusta direzione, un’emozione indispensabile e preziosa che ci permette di reagire alle situazioni sfavorevoli.

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