Infinito ed altre catastrofi

Sono almeno un paio d’anni che il simbolo dell’infinito impazza tra teenager e adolescenti. Il boom si consuma tra le proteste dei tatuatori, che non possono dare libero sfogo alle loro idee più creative, e la gioia dei brand, che riconoscono facilmente un’icona dal grande potenziale di vendita.

Simbolo matematico, simbolo filosofico, simbolo letterario, simbolo ambiguo e potente.

Non è mia intenzione fare una analisi partendo da Anassimandro per arrivare a Borges. Mi chiedo semplicemente quale sia la radice di questo amore sostanziale degli adolescenti con il concetto di infinito. Mi incuriosisce.

La voglia di vincere il concetto di finitezza e di morte? La voglia di vivere in un qui ed ora costante? La consapevolezza che ciò che sono le nostre azioni sono destinate a ripetersi senza soluzione di continuità?

Forse tutte queste cose, forse nessuna.

A un tratto è come un flash: le scuole medie. i quaderni. la smemo. infiniti.

Ciò che mi affascinava forse era quel tratto così familiare, l’8 era un numero che prediligevo particolarmente e rappresentava un numero preciso, finito e quadrato. Eppure accanto a questo senso di razionalità, semplicemente compiendo una rotazione di 90°, si otteneva il magico simbolo, così carico di significato e di infinitezza.

Ambiguità, ambivalenza di un tratto grafico che può avere due significati tanto differenti, così vicini entrambi ai concetti di ritmo e timbro in musica.

Divago.

Nuove riflessioni.

Relazioni instabili, legami spezzati, indifferenza dilagante e rabbia latente… cosa sarà mai tutto questo amore per l’infinito?

Chi cerca oggi-come-oggi qualcosa di fisso e sempre uguale che si ripete di continuo? Per come ci siamo trasformati in questa quarta rivoluzione industriale, la fissità e la ripetizione corrispondono a frustrazione, noia e crisi.

L’infinito non è più un mio simbolo.

Se “il futuro è una trappola” allora l’infinito è una catastrofe.

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